Tra il dire e il fare, non sempre, c’è di mezzo il mare. Su San Salvario si è detto molto e per tutti i gusti: quartiere problematico, «Bronx torinese», poi modello di integrazione, caso di gentrification da studiare – imitare per alcuni, evitare per altri – paesone per sedicenti alternativi in vacanza. La sorpresa è che, se non tutto, molto ha solide basi nelle realtà di strade e piazze del quartiere. A far da traino, ancora quando San Salvario era un borgo popolare a ridosso delle mura della città e la sinistra del Po, un’innata predisposizione al negozio; inteso come commercio, ma anche come inclinazione all’operosità, alla sperimentazione, che ha nel tempo preso le forme più diverse.
Un borgo nato «francese» con l’urbanizzazione portata dall’abbattimento delle fortificazioni da parte di Napoleone, e cresciuto «patriota» in parallelo all’Unità d’Italia, dai moti del 1821 fino alla proclamazione del Regno. Ma di fianco all’anima transalpina e a quella nazionale, ecco quella locale: il nome Salvario è la versione dialettale di Salvatore, e si riferisce alla chiesa, all’incrocio tra via Nizza e corso Marconi, da cui l’intero quartiere ha poi derivato il nome. Già nell’Ottocento la zona aveva uno spiccato animo commerciale e solo così si spiega il forte radicamento del mercato di piazza Madama Cristina e delle numerose botteghe nelle vie attigue.
E ancora oggi, anche se non è più alle porte della città, San Salvario, delimitato a nord da corso Vittorio Emanuele II, a est dal fiume Po, a ovest da via Nizza, a sud da corso Bramante, è comunque la porta della città, grazie a Porta Nuova, la stazione per eccellenza. Da lì arrivano i nuovi cittadini, che nei dintorni cercano una prima sistemazione finendo proprio a fianco di chi li ha preceduti. Così è stato nel secondo dopoguerra, durante il boom e negli anni Novanta: che i nuovi arrivati arrivassero dal Polesine, dal Meridione o dal Nordafrica, poco cambia. Qui s’incontrano diversi campi di forze che si sommano senza annullarsi: come una spugna, il borgo ha assorbito tutto e continua a farlo, senza lasciare nulla per strada; e forse questo è il motore che muove le ragioni di estimatori e detrattori di un quartiere che nel bene e nel male ostenta, enfatizza ogni suo aspetto, genuino o artificioso che sia.
[L’Altra Torino, Espress Edizioni, pag. 11]