La Crocetta è nel suo insieme divisa in parti tre. C’è la Crocetta dei più ricchi, quella dei meno ricchi e quella dei ricchi a metà.

La prima ha le ville e le banche; la seconda gli alberghi e i locali a luci rosse; la terza ha case, scuole e negozi come tante altre parti di città, ma in maniera più distinta. Per ultima c’è un’appendice di case popolari nascosta tra l’ospedale e la ferrovia, che Crocetta proprio non sembra, ma che nessuno le ha mai asportato.

La Crocetta dei ricchi è insieme alla collina la città dei più ricchi in assoluto, e i palazzi un po’ si nascondono dietro le siepi, un po’ si mostrano senza troppi pudori. Quando a inizio Novecento scelse il progetto di Giovanni Chevalley per ridisegnare l’area occupata dalla piazza d’armi (oggi di fronte al Politecnico), il Comune riuscì nel suo intento e la nuova isola residenziale diventò il centro del quartiere della media e alta borghesia torinese.

Più che i margini, segnati dalla parabola dei binari tra Porta Nuova e Porta Susa (corso Castelfidardo, corso Mediterraneo, corso De Nicola), per il quartiere sembrano contare i confini interni. Oltre il viale alberato di corso Re Umberto la Crocetta diventa San Secondo, il borgo nato a ridosso della stazione in modo speculare a San Salvario. Sarà la gente per strada e il traffico intenso o la vicinanza della ferrovia, ma nella parte più popolare del borgo nulla rimane della calma pedonale a pochi isolati di distanza. Eppure hanno origini comuni.

La Crocetta come è visibile oggi è relativamente giovane, ma si è arricchita presto anche di storia. L’espansione del reticolo urbano ortogonale ha investito l’area a inizio Novecento, rettificando il piccolo borgo presente già nel XVI secolo e cancellando la linea storta della cinta daziaria. Il suo territorio ha ospitato in successione due piazze d’armi, lo Stadium, un motovelodromo, i primi campi sportivi di Juventus e Torino e, nel 1906, un’esibizione di Buffalo Bill. Prima di quegli anni di liberty e belle époque, perfino la Crocetta era stata però un sobborgo operaio, abitato per tutto l’Ottocento da manovali, contadini e ferrovieri, aiutati solo dalla parrocchia vicino. Qualcosa sopravvive da allora, se anche nella città dei ricchi un angolo nascosto di popolarità ancora sorprende appena svoltata una via.

[L’Altra Torino, Espress Edizioni, pag. 38]