Il ritornello più frequente su Falchera – almeno da quando esiste – è che sia un quartiere a parte, una città nella città.

A mettere sull’avviso pesa forse il suo essere una specie di enclave, compresa nel perimetro delimitato a nord dalla tangenziale, a est dalla stazione ferroviaria Torino-Stura, a ovest dalla superstrada per l’aeroporto di Caselle e a sud dal fiume Stura.

Un sistema concluso, con una sua storia molto lineare, sulla quale intanto si può subito tracciare l’esistenza di una Falchera nuova e di una Falchera vecchia. Due realtà circoscritte dentro un quartiere circoscritto, quasi due cittadelle separate dalla linea dei mezzi pubblici – quella famosa linea 4 che può raccontare su Torino più cose di mille libri. Da una parte case basse e rosse, dall’altra case alte e bianche: impossibile confonderle. O, come ironizzano i giovani della zona: una sta sui libri di storia dell’arte e l’altra no. Nonostante tutto, la divisione ha contribuito a creare un carattere fortemente identitario negli abitanti, incastrandosi nella stratificazione sociale avvenuta con le due ondate migratorie giunte fin qui negli anni Cinquanta e Settanta. I segni dell’identità falcherese sono molteplici: da quelli più appariscenti – come l’uso generale del suffisso Falch – fino a quelli più profondi, come la pubblicazione di un giornale di quartiere, il mensile «Gente di Falchera», insieme a un tavolo sociale tra i più attivi a livello cittadino. Di fatto è uno dei quartieri all’avanguardia per quanto riguarda l’attitudine relazionale, e viene il sospetto che il futuro prossimo stia già passando in silenzio da qui, con la Torino-Milano che sta imponendo il modello di città continua, in grado di accorpare due capoluoghi di provincia in un’unica metropoli o la fila di palazzi che si affacciano sullo specchio surreale dei laghetti. Forse un futuro alla Blade Runner o solo da quartiere satellite evoluto, magari addolcito dai nidi delle cicogne piuttosto che da nuove forme di residenza sostenibile. Non a caso, come succede spesso nelle stranezze in apparenza casuali di questa città, è stata messa una sfinge egizia (finta) proprio sull’imbocco dell’autostrada, nella rotonda, a cui forse chiedere che cosa ci riserveranno i prossimi anni. Ogni volta che si parta o si arrivi a Torino.

[L’altra Torino, Espress Edizioni, pag. 279]