Ci sono città, o parti di esse, dove a una certa ora del giorno o della notte tutto diventa possibile, o sembra poterlo essere.
Di solito succede quando le luci si fanno più sbieche, tagliando cose, persone e certezze. Le ombre prendono forme sorprendenti e nulla è come sembra; si svelano così piccole e grandi sorprese.
Questi momenti, nei pressi dell’alba o del tramonto, non si sa mai se appartengano al giorno o alla notte; finiscono l’uno nell’altra senza stacchi percepibili: come il collo nella spalla, la campagna nella città.
Quest’Aurora sospesa si è coagulata verso il Seicento attorno alla Dora Riparia, a cavalcioni del centro, appena più a nord. Grazie all’acqua sono germogliati in poco tempo mulini e concerie, seterie e canapifici, e poi anche uomini e donne, attirati dalla prima industrializzazione galoppante. Quest’ultima, però, già nel Novecento stava stretta nei paraggi, addossata al centro e costipata dai corsi Vigevano e Novara a nord e a est, dalla Dora e da corso Regina Margherita a sud, da corso Principe Oddone a ovest. Così è galoppata via, il suo posto preso da piccoli artigiani e commercianti in orbita attorno al Balon e al suo mondo. Il primo itinerario è una discesa verso il passato del Quadrilatero, allo specchio del fratello povero oltre corso Regina Margherita. Ed è un ritorno, dal centro di Torino da cui inizia – a pochi metri dal Municipio – a ciò che centro forse non è ancora. Il secondo itinerario è invece un’emersione di quanto si nasconde dietro la superficie delle cose, in un quartiere che sembra un set cinematografico, una quinta di città. E infatti da queste parti il cinema è di casa. Perciò, è tutto una sorpresa.
[L’altra Torino, Espress Edizioni, pag. 325]